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**LE INSIDIE DELLA COTTURA!**

La cottura degli alimenti è una pratica molto comune e diffusa pressoché in tutto il mondo. Gli scopi principali della cottura (specialmente in ambito industriale) sono di conferire agli alimenti un gusto e una consistenza gradevoli al palato del consumatore, favorirne la digeribilità, assicurarne la conservazione, distruggere i microrganismi.

Fonti autorevoli enumerano svariati metodi di cottura: imbianchimento, pastorizzazione, sterilizzazione, bollitura in acqua (100°C), frittura in olio (150°/190°C), cottura alla griglia ((300°/500°C), in forno classico (100°/250°C) o a microonde, per contatto con una superficie calda, a vapore, stufatura, senza liquidi, in recipiente chiuso da coperchio (< 100°C).

In tutte le tipologie di cottura  l’innalzamento termico è ottenuto aumentando i processi vibrazionali delle molecole dell’alimento, dell’ambiente che lo circonda e dell’utensile che lo contiene.

È un fatto che la cottura trasformi gli alimenti in modo evidente e tali cambiamenti sono tanto più marcati quanto più la temperatura è alta e prolungata. Vengono modificati l’aspetto, la consistenza, l’odore e il gusto.

Dal punto di vista chimico, sotto l’effetto dell’agitazione termica, le molecole si rompono e si ristrutturano a caso, formando nuove combinazioni estremamente complesse, alcune delle quali non esistono in natura .

Con la cottura, dunque, gli alimenti si trasformano: ad esempio gli oli si ossidano , tanto più facilmente quanto più sono insaturi. Ecco perché è meglio evitare di scaldare oli di girasole, mais e colza, ricchi di acidi grassi insaturi (i danni sono meno gravi con l’olio di arachidi, che contiene solo il 30% di acidi grassi insaturi). Possono formarsi isomeri (sostanze che, pur avendo la stessa composizione, differiscono per le proprietà chimiche o fisiche a causa di diverse disposizioni degli atomi – n.d.A.),  ad es. acidi grassi -trans a partire da acidi grassi –cis.

Tenendo conto che i nostri aminoacidi non agiscono sull’isomero ma solo sulla sostanza naturale originaria, e che la trasformazione di questi isomeri, superata la barriera intestinale, è tuttora sconosciuta, nel migliore dei casi queste sostanze saranno inutilizzabili ma nel peggiore saranno pericolose. È sufficiente infatti solo una piccola differenza rispetto alla molecola normale, per ottenere una molecola che l’organismo non è in grado di trasformare. Ad es. il 2-desossiglucosio è molto vicino al glucosio, ma gli manca un atomo di idrogeno legato a un secondo atomo di carbonio, per cui verrà trasportato e assorbito attraverso gli stessi sistemi del glucosio ma, giunto nelle cellule, non potrà essere trasformato e si accumulerà.

Il calore ha un impatto molto forte sulle proteine, che vengono significativamente modificate nella struttura spaziale. Si verificano inoltre interazioni fra proteine diverse e fra proteine e zuccheri. Queste ultime sono le cosiddette  Reazioni di Maillard, dal nome del chimico che le scoprì nel 1916. Si producono fra il gruppo amminico delle proteine e il gruppo carbonilico degli zuccheri. Si sviluppano in tre tappe che portano alla formazione di sostanze sempre più complesse. Le molecole di Maillard sono molto voluminose e tanto più difficili da metabolizzare quanto più diventano complesse. Le più coriacee sono praticamente indistruttibili: sono insolubili all’acqua e resistenti agli enzimi proteolitici. È molto probabile che, superata la barriera intestinale, possano accumularsi nell’ambiente extra-cellulare e condurre ad una patologia da accumulo. Le Molecole di Maillard, inattaccabili dai nostri enzimi sono praticamente assenti nei lattanti mentre abbondano negli anziani: ne consegue che queste molecole potrebbero partecipare all’invecchiamento vascolare e cerebrale prematuro e alle demenze senili, tanto frequenti ai giorni nostri.

 

Le macromolecole prodotte dalla cottura alterano i processi digestivi: gli studi dimostrano che gli alimenti cotti producono una leucocitosi (aumento eccessivo di globuli bianchi, n.d.A.) che non si verifica con l’assunzione degli alimenti crudi. Ciò è dovuto al fatto che le macromolecole attraversano la parete intestinale, suscitando una risposta immunitaria.

È dimostrato che i grassi animali cotti, soprattutto carni e prodotti caseari, favoriscono l’insorgenza del cancro mammario e del colon e che il consumo massiccio di alimenti cotti quali grano, mais, latte e grassi animali determina l’insorgenza di patologie quali obesità, diabete adulto, malattie cardiovascolari, come si evince anche dalla frequenza con cui queste patologie incorrono presso i popoli che si alimentano in tal modo.

Un’alimentazione sana dunque deve  prevedere e privilegiare l’assunzione di alimenti crudi. In proposito vi sono un gran numero di studi compiuti sia sugli animali che sull’uomo. Sembra, ad esempio, che i gatti che mangiano carne cruda resistano meglio agli interventi chirurgici, sviluppino meno malattie infettive, infiammatorie e allergiche, siano meno irritabili e generino una prole più vigorosa. Per di più, la degenerazione dei gatti alimentati con carni cotte si aggrava nel corso delle generazioni. Lo scimpanzé  è molto vicino all’uomo dal punto di vista dell’evoluzione filogenetica ed il 99,3% dei suoi geni sono analoghi ai nostri. Eppure allo stato selvaggio questo primate si nutre soltanto di alimenti crudi. In stato di cattività (in laboratorio o allo zoo) ha mostrato una scarsa tolleranza ai cibi cotti e viene pertanto alimentato quasi esclusivamente con cibo crudo. Per quanto attiene l’uomo, ancora ai nostri giorni vi sono popolazioni, come gli Esquimesi e i Pigmei, che vivono come all’età della pietra, e che pertanto possono costituire un modello interessante. Queste popolazioni si nutrono infatti prevalentemente di cibo crudo, in gran parte carne o pesce, e nonostante le considerevoli quantità di grassi animali ingerite nella loro dieta, essi sono molto meno colpiti (circa 10 volte) dalle malattie cardiovascolari rispetto, ad esempio, agli Americani.

Nei casi in cui la cottura, per varie ragioni,  sia inevitabile, occorre tenere conto che le modificazioni indotte dalla cottura sono tanto più importanti quanto più alte sono le temperature e maggiore è il tempo di esposizione. Il limite oltre il quale gli alimenti subiscono trasformazioni si situa intorno ai 110°C.

Per quanto attiene ai metodi di cottura, gli studi suggeriscono concordemente di: evitare la griglia e la frittura che si situano fra i 300°C e i 700°C, evitare il forno classico (che raggiunge i 300°C), preferire la cottura a vapore o la stufatura.

Il forno a microonde porta la temperatura, per un tempo molto breve, intorno ai 75°C,  quindi ben al di sotto della soglia-limite dei 110°C. Tuttavia, nonostante le apparenze, questo apparecchio non è così inoffensivo. Uno studio ha dimostrato che il forno a microonde provoca una variazione di orientamento delle molecole d’acqua di 2,45 miliardi di volte al secondo; esso trasforma alcuni aminoacidi L in aminoacidi D (è il caso della prolina e dell’idrossiprolina, che sfuggono così all’azione dei nostri enzimi); in oltre il 90% degli alimenti esso induce forti anomalie, rilevate attraverso il metodo delle cristallizzazioni sensibili. In un esperimento su modello animale è emerso che il 100% dei topi nutriti con alimenti scaldati al microonde ha sviluppato il cancro.

Per quanto concerne la pentola a pressione vi sono, fra gli studiosi, posizioni contrastanti: secondo l’Associazione Medica Kousmine, la pentola a pressione sarebbe positiva per alcuni tipi di nutrienti e negativa per altri. Per i cereali essa sarebbe positiva, in quanto non solo non danneggerebbe la qualità del cibo ma ne migliorerebbe l’assimilabilità. Questo risultato che, entro certi limiti, è proporzionale alla temperatura di cottura, è stato attribuito al rilascio di granuli di amido dalla matrice della proteina che li rende più suscettibili alla digestione enzimatica. Il comportamento dell’amido in acqua dipende sia dalla temperatura che dalla concentrazione. Gli svantaggi, cioè la parziale distruzione di alcune vitamine per la temperatura, sono comunque meno rilevanti nei cereali, i quali sono già di per sé carenti in vit. C (la più termosensibile), mentre sono ricchi di vitamine del gruppo B, più resistenti alla temperatura. Inoltre, il degrado delle vitamine è in relazione sia alla temperatura che ai tempi di esposizione: se in pentola a pressione le temperature sono più alte, in compenso i tempi sono diminuiti. Per i legumi vi sono considerazioni analoghe, anche se di natura chimica diversa. Qui il vantaggio deriverebbe dalla migliore distruzione di alcune sostanze nocive o sgradevoli, parzialmente termolabili, contenute in molti legumi: ad esempio i composti cianogenetici pericolosi (eterosidi), annullabili con un prolungato ammollo e, in parte, con la temperatura di cottura, e gli oligosaccaridi, responsabili del cattivo odore dei gas intestinali. Anche in questo caso, le vitamine del gruppo B, presenti nei legumi, sono meno sensibili alla temperatura rispetto alla vit. C, quasi assente nei legumi secchi. Decisamente controindicata invece la cottura a pressione per i legumi freschi e per quelli germogliati. Per le verdure (patate comprese) la cottura in pentola a pressione è controproducente, in quanto i danni di perdita di elementi vitali (vitamine, bioflavonoidi, indoli, ecc.) sono molto rilevanti.

Riassumendo, dunque, alimentarsi in modo sano vuol dire non solo privilegiare gli alimenti crudi rispetto a quelli cotti, potenzialmente nocivi, ma anche saper scegliere fra gli alimenti quelli più sani e che rispettino la nostra biochimica e fra i metodi di cottura quelli che non alterino i principi ed i nutrienti dei cibi che assumiamo.

 

 

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